Angolo Musicale

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domenica, aprile 24, 2005

24.04.05 Omelia di Papa Benedetto XVI

SANTA MESSA IMPOSIZIONE DEL PALLIO E CONSEGNA DELL’ANELLO DEL PESCATORE PER L’INIZIO DEL MINISTERO PETRINO DEL VESCOVO DI ROMA
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Piazza San PietroDomenica, 24 aprile 2005

Signori Cardinali,venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,distinte Autorità e Membri del Corpo diplomatico,carissimi Fratelli e Sorelle!
Per ben tre volte, in questi giorni così intensi, il canto delle litanie dei santi ci ha accompagnato: durante i funerali del nostro Santo Padre Giovanni Paolo II; in occasione dell'ingresso dei Cardinali in Conclave, ed anche oggi, quando le abbiamo nuovamente cantate con l'invocazione: Tu illum adiuva - sostieni il nuovo successore di San Pietro. Ogni volta in un modo del tutto particolare ho sentito questo canto orante come una grande consolazione. Quanto ci siamo sentiti abbandonati dopo la dipartita di Giovanni Paolo II! Il Papa che per ben 26 anni è stato nostro pastore e guida nel cammino attraverso questo tempo. Egli varcava la soglia verso l'altra vita - entrando nel mistero di Dio. Ma non compiva questo passo da solo. Chi crede, non è mai solo - non lo è nella vita e neanche nella morte. In quel momento noi abbiamo potuto invocare i santi di tutti i secoli - i suoi amici, i suoi fratelli nella fede, sapendo che sarebbero stati il corteo vivente che lo avrebbe accompagnato nell'aldilà, fino alla gloria di Dio. Noi sapevamo che il suo arrivo era atteso. Ora sappiamo che egli è fra i suoi ed è veramente a casa sua. Di nuovo, siamo stati consolati compiendo il solenne ingresso in conclave, per eleggere colui che il Signore aveva scelto. Come potevamo riconoscere il suo nome? Come potevano 115 Vescovi, provenienti da tutte le culture ed i paesi, trovare colui al quale il Signore desiderava conferire la missione di legare e sciogliere? Ancora una volta, noi lo sapevamo: sapevamo che non siamo soli, che siamo circondati, condotti e guidati dagli amici di Dio. Ed ora, in questo momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado di farlo? Voi tutti, cari amici, avete appena invocato l'intera schiera dei santi, rappresentata da alcuni dei grandi nomi della storia di Dio con gli uomini. In tal modo, anche in me si ravviva questa consapevolezza: non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi accompagnano. Infatti alla comunità dei santi non appartengono solo le grandi figure che ci hanno preceduto e di cui conosciamo i nomi. Noi tutti siamo la comunità dei santi, noi battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, noi che viviamo del dono della carne e del sangue di Cristo, per mezzo del quale egli ci vuole trasformare e renderci simili a se medesimo. Sì, la Chiesa è viva - questa è la meravigliosa esperienza di questi giorni. Proprio nei tristi giorni della malattia e della morte del Papa questo si è manifestato in modo meraviglioso ai nostri occhi: che la Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro del mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noi la via verso il futuro. La Chiesa è viva e noi lo vediamo: noi sperimentiamo la gioia che il Risorto ha promesso ai suoi. La Chiesa è viva - essa è viva, perché Cristo è vivo, perché egli è veramente risorto. Nel dolore, presente sul volto del Santo Padre nei giorni di Pasqua, abbiamo contemplato il mistero della passione di Cristo ed insieme toccato le sue ferite. Ma in tutti questi giorni abbiamo anche potuto, in un senso profondo, toccare il Risorto. Ci è stato dato di sperimentare la gioia che egli ha promesso, dopo un breve tempo di oscurità, come frutto della sua resurrezione.
La Chiesa è viva – così saluto con grande gioia e gratitudine voi tutti, che siete qui radunati, venerati Confratelli Cardinali e Vescovi, carissimi sacerdoti, diaconi, operatori pastorali, catechisti. Saluto voi, religiosi e religiose, testimoni della trasfigurante presenza di Dio. Saluto voi, fedeli laici, immersi nel grande spazio della costruzione del Regno di Dio che si espande nel mondo, in ogni espressione della vita. Il discorso si fa pieno di affetto anche nel saluto che rivolgo a tutti coloro che, rinati nel sacramento del Battesimo, non sono ancora in piena comunione con noi; ed a voi fratelli del popolo ebraico, cui siamo legati da un grande patrimonio spirituale comune, che affonda le sue radici nelle irrevocabili promesse di Dio. Il mio pensiero, infine – quasi come un’onda che si espande – va a tutti gli uomini del nostro tempo, credenti e non credenti.
Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma di governo. Qualche tratto di ciò che io considero mio compito, ho già potuto esporlo nel mio messaggio di mercoledì 20 aprile; non mancheranno altre occasioni per farlo. Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia. Invece di esporre un programma io vorrei semplicemente cercare di commentare i due segni con cui viene rappresentata liturgicamente l’assunzione del Ministero Petrino; entrambi questi segni, del resto, rispecchiano anche esattamente ciò che viene proclamato nelle letture di oggi.
Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un’immagine del giogo di Cristo, che il Vescovo di questa città, il Servo dei Servi di Dio, prende sulle sue spalle. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo. E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime e ci toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita – questa era la gioia di Israele, era il suo grande privilegio. Questa è anche la nostra gioia: la volontà di Dio non ci aliena, ci purifica – magari in modo anche doloroso – e così ci conduce a noi stessi. In tal modo, non serviamo soltanto Lui ma la salvezza di tutto il mondo, di tutta la storia. In realtà il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d’agnello intende rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole, che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. La parabola della pecorella smarrita, che il pastore cerca nel deserto, era per i Padri della Chiesa un’immagine del mistero di Cristo e della Chiesa. L’umanità – noi tutti - è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l’umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità, porta noi stessi – Egli è il buon pastore, che offre la sua vita per le pecore. Il Pallio dice innanzitutto che tutti noi siamo portati da Cristo. Ma allo stesso tempo ci invita a portarci l’un l’altro. Così il Pallio diventa il simbolo della missione del pastore, di cui parlano la seconda lettura ed il Vangelo. La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza. Il simbolo dell’agnello ha ancora un altro aspetto. Nell’Antico Oriente era usanza che i re designassero se stessi come pastori del loro popolo. Questa era un’immagine del loro potere, un’immagine cinica: i popoli erano per loro come pecore, delle quali il pastore poteva disporre a suo piacimento. Mentre il pastore di tutti gli uomini, il Dio vivente, è divenuto lui stesso agnello, si è messo dalla parte degli agnelli, di coloro che sono calpestati e uccisi. Proprio così Egli si rivela come il vero pastore: “Io sono il buon pastore… Io offro la mia vita per le pecore”, dice Gesù di se stesso (Gv 10, 14s). Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini.
Una delle caratteristiche fondamentali del pastore deve essere quella di amare gli uomini che gli sono stati affidati, così come ama Cristo, al cui servizio si trova. “Pasci le mie pecore”, dice Cristo a Pietro, ed a me, in questo momento. Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza, che egli ci dona nel Santissimo Sacramento. Cari amici – in questo momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre più ad amare il Signore. Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge – voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi. Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore ci porti e noi impariamo a portarci gli uni gli altri.
Il secondo segno, con cui viene rappresentato nella liturgia odierna l’insediamento nel Ministero Petrino, è la consegna dell’anello del pescatore. La chiamata di Pietro ad essere pastore, che abbiamo udito nel Vangelo, fa seguito alla narrazione di una pesca abbondante: dopo una notte, nella quale avevano gettato le reti senza successo, i discepoli vedono sulla riva il Signore Risorto. Egli comanda loro di tornare a pescare ancora una volta ed ecco che la rete diviene così piena che essi non riescono a tirarla su; 153 grossi pesci: “E sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò” (Gv 21, 11). Questo racconto, al termine del cammino terreno di Gesù con i suoi discepoli, corrisponde ad un racconto dell’inizio: anche allora i discepoli non avevano pescato nulla durante tutta la notte; anche allora Gesù aveva invitato Simone ad andare al largo ancora una volta. E Simone, che ancora non era chiamato Pietro, diede la mirabile risposta: Maestro, sulla tua parola getterò le reti! Ed ecco il conferimento della missione: “Non temere! D’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5, 1–11). Anche oggi viene detto alla Chiesa e ai successori degli apostoli di prendere il largo nel mare della storia e di gettare le reti, per conquistare gli uomini al Vangelo – a Dio, a Cristo, alla vera vita. I Padri hanno dedicato un commento molto particolare anche a questo singolare compito. Essi dicono così: per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui. Il compito del pastore, del pescatore di uomini può spesso apparire faticoso. Ma è bello e grande, perché in definitiva è un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel mondo.
Vorrei qui rilevare ancora una cosa: sia nell’immagine del pastore che in quella del pescatore emerge in modo molto esplicito la chiamata all’unità. “Ho ancora altre pecore, che non sono di questo ovile; anch’esse io devo condurre ed ascolteranno la mia voce e diverranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10, 16), dice Gesù al termine del discorso del buon pastore. E il racconto dei 153 grossi pesci termina con la gioiosa constatazione: “sebbene fossero così tanti, la rete non si strappò” (Gv 21, 11). Ahimè, amato Signore, essa ora si è strappata! vorremmo dire addolorati. Ma no – non dobbiamo essere tristi! Rallegriamoci per la tua promessa, che non delude, e facciamo tutto il possibile per percorrere la via verso l’unità, che tu hai promesso. Facciamo memoria di essa nella preghiera al Signore, come mendicanti: sì, Signore, ricordati di quanto hai promesso. Fa’ che siamo un solo pastore ed un solo gregge! Non permettere che la tua rete si strappi ed aiutaci ad essere servitori dell’unità!
In questo momento il mio ricordo ritorna al 22 ottobre 1978, quando Papa Giovanni Paolo II iniziò il suo ministero qui sulla Piazza di San Pietro. Ancora, e continuamente, mi risuonano nelle orecchie le sue parole di allora: “Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!” Il Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e concesso la libertà alla fede. Sì, egli avrebbe certamente portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento del diritto, dell’arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di ciò che appartiene alla libertà dell’uomo, alla sua dignità, all’edificazione di una società giusta. Il Papa parlava inoltre a tutti gli uomini, soprattutto ai giovani. Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui – paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell’angustia e privati della libertà? Ed ancora una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita. Amen.

mercoledì, aprile 20, 2005

BENEDETTO DECIMO SESTO

HABEMUS PAPAM!!!

Ringraziamo il Signore Dio Padre del Signore Gesu' Cristo e padre di tutti gli uomini, per averci donato un papa secondo il Suo cuore. Il Signore Dio gli conceda il dono della sapienza e dell'amore perche' sempre assomigli al Signore Gesu' che ci amato sino alla fine, fino al punto di donarci il suo Santo Spirito. Viva il Papa! Viva il Santo Padre! Viva sua santita'!

giovedì, aprile 14, 2005

14.04.05 Alcune cosette

Purtroppo gli impegni di queste ultime settimane mi hanno portato ad allentare il mio impegno nell'aggiornare il mio blog. Rieccomi.

Da martedi' 5 fino a ieri, mercoledi' 13 sono stato impegnato con le suore Missionarie della Carita', (suore di madre di Teresa di Calcutta). Ho tenuto un corso sulla prima parte del Catechismo della Chiesa Cattolica. C'erano 10 suore che lavorano nei seguenti paesi asiatici: Hong Kong, Macao, Thailandia e Cambogia. Ma queste suore provengono da questi altrettanti paesi: India, Bangladesh, Indonesia, Sri Lanka e Filippine. Il tema era la fede. Senza le solide basi della fede non ci si puo' donare per sempre al Signore nella vita consacrata! A dire il vero non si riesce nemmeno a vivere bene la propria vocazione battesimale, indipentemente dalle altre vocazioni specifiche. Queste suore hanno fatto gia' da qualche anno i voti inziali e si preparano a fare quelli finali. Ci vogliono infatti 9 anni per una suora di Madre Teresa per professare i voti perpetui. Non e' infatti facile essere cristiani, non e' neppure facile essere suore, ancora di piu' difficile e' essere suora di Madre Teresa. La loro semplice fede il piu' delle volte e' stabile e solida. Ringrazio il Signore per questo ministero che mi ha fatto svolgere. Parlando ogni giorno, escluso il sabato e la domenica, dalle ore 9.00 fino alle ore 12.00 e poi dalle 14.30 fino alle ore 17.00, mi sono meravigliato di come abbia resistito la mia voce. Una di loro mi ha detto che non potevo perdere la voce perche' parlavo di Dio. Che fede!!! Ed io invece, questa cosa non l'avevo nemmeno pensata. Beh, certo la stanchezza c'era e si e' fatta viva. Ma quando si lavora per Dio, si lavora a full-time.

In tutto il mondo continuiamo a fare memoria del nostro caro e amato papa Giovanni Paolo II. Abbiamo anche noi celebrato l'Eucaristia in suo suffragio. Lo abbiamo fatto gia' come parrocchia il 04 aprile sera. Lo abbiamo fatto anche come dicoesi in 2 occasioni: il 04 aprile (4.000 ostie non sono bastate in cattedrale!) e anche il 07 aprile vigilia del solenne funerale svoltosi a Roma. Quella sera in cattedrale, nel vicino salone della Caritas e per la strada c'erano circa 6.000 persone! Martedi' 12 invece, abbiamo celebrato l'Eucaristia con i giovani della diocesi. C'erano tantissimi giovani, tutti affascinati da questo uomo, prete, vescovo e papa. Il papa Giovanni Paolo II e' stato un grande uomo perche' uomo di preghiera, uomo di fede!!! Il suo esempio stimoli noi altri a superarlo nell'amore verso Dio e verso i fratelli.
Attendiamo adesso con fiducia che la promessa di Dio si compia. Egli non lascia la sua famiglia senza guida. Egli stesso sosterra' e guidera' tutti i singoli cardinali nella scelta del nuovo papa. Allora la nostra gioia sara' ancora piena, perche' vedremo che la nostra fede e la nostra speranza in Dio hanno il compimento. Preghiamo!!!

venerdì, aprile 08, 2005

2005.04.08 Funerali del Papa

Carissimi, oggi siamo tristi e felici. Abbiamo salutato per l'ultima volta il nostro caro papa e siamo sicuri che egli vive con il Signore.
Oggi sono stato il commentatore ufficiale dei funerali del papa presso una delle televisioni inglesi di Hong Kong. E' stata un'esperienza davvero singolare. Per la prima volta ho reso questo servizio. Ero molto agitato, ma l'ho fatto solo per il papa, perche' la gente che non crede ancora in Dio, potesse anche attraverso il suo funerale, conoscere il Signore. Sono davvero felice, perche' non solo ho fatto da commentatore ma anche da traduttore, dall'italiano all'inglese, dal latino all'inglese. E come se non bastasse sono stato intervistato in diretta anche durante il telegiornale di questa sera.

Adesso vi allego la meravigliosa omelia del Cardinale Ratzinger che ha pronunciato durante il funerale del papa.
CITTA' DEL VATICANO, 8 APR. 2005 (VIS). Di seguito riportiamo il testo dell'omelia, letta in italiano dal Cardinale Joseph Ratzinger, che ha presieduto la Liturgia Esequiale di Giovanni Paolo II:
"'Seguimi' dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore. 'Seguimi' - questa parola lapidaria di Cristo può essere considerata la chiave per comprendere il messaggio che viene dalla vita del nostro compianto ed amato Papa Giovanni Paolo II, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme di immortalità - il cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e di profonda gratitudine". "Questi sono i sentimenti del nostro animo, Fratelli e Sorelle in Cristo, presenti in Piazza San Pietro, nelle strade adiacenti e in diversi altri luoghi della città di Roma, popolata in questi giorni da un'immensa folla silenziosa ed orante. Tutti saluto cordialmente. A nome anche del Collegio dei Cardinali desidero rivolgere il mio deferente pensiero ai Capi di Stato, di Governo e alle delegazioni dei vari Paesi. Saluto le Autorità e i Rappresentanti delle Chiese e Comunità cristiane, come pure delle diverse religioni. Saluto poi gli Arcivescovi, i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i fedeli tutti giunti da ogni Continente; in modo speciale i giovani, che Giovanni Paolo II amava definire futuro e speranza della Chiesa. Il mio saluto raggiunge, inoltre, quanti in ogni parte del mondo sono a noi uniti attraverso la radio e la televisione in questa corale partecipazione al solenne rito di commiato dall'amato Pontefice".
"'Seguimi' - da giovane studente Karol Wojtyła era entusiasta della letteratura, del teatro, della poesia. Lavorando in una fabbrica chimica, circondato e minacciato dal terrore nazista, ha sentito la voce del Signore: Seguimi! In questo contesto molto particolare cominciò a leggere libri di filosofia e di teologia, entrò poi nel seminario clandestino creato dal Cardinale Sapieha e dopo la guerra poté completare i suoi studi nella facoltà teologica dell'Università Jaghellonica di Cracovia. Tante volte nelle sue lettere ai sacerdoti e nei suoi libri autobiografici ci ha parlato del suo sacerdozio, al quale fu ordinato il 1° novembre 1946. In questi testi interpreta il suo sacerdozio in particolare a partire da tre parole del Signore. Innanzitutto questa: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Gv 15, 16). La seconda parola è: "Il buon pastore offre la vita per le pecore" (Gv 10, 11). E finalmente: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (Gv 15, 9). In queste tre parole vediamo tutta l'anima del nostro Santo Padre. È realmente andato ovunque ed instancabilmente per portare frutto, un frutto che rimane. "Alzatevi, andiamo!", è il titolo del suo penultimo libro. "Alzatevi, andiamo!" - con queste parole ci ha risvegliato da una fede stanca, dal sonno dei discepoli di ieri e di oggi. "Alzatevi, andiamo!" dice anche oggi a noi. Il Santo Padre è stato poi sacerdote fino in fondo, perché ha offerto la sua vita a Dio per le sue pecore e per l'intera famiglia umana, in una donazione quotidiana al servizio della Chiesa e soprattutto nelle difficili prove degli ultimi mesi. Così è diventato una sola cosa con Cristo, il buon pastore che ama le sue pecore. E infine "rimanete nel mio amore": Il Papa che ha cercato l'incontro con tutti, che ha avuto una capacità di perdono e di apertura del cuore per tutti, ci dice, anche oggi, con queste parole del Signore: Dimorando nell'amore di Cristo impariamo, alla scuola di Cristo, l'arte del vero amore".
"Seguimi! Nel luglio 1958 comincia per il giovane sacerdote Karol Wojtyła una nuova tappa nel cammino con il Signore e dietro il Signore. Karol si era recato come di solito con un gruppo di giovani appassionati di canoa ai laghi Masuri per una vacanza da vivere insieme. Ma portava con sé una lettera che lo invitava a presentarsi al Primate di Polonia, Cardinale Wyszyński e poteva indovinare lo scopo dell'incontro: la sua nomina a Vescovo ausiliare di Cracovia. Lasciare l'insegnamento accademico, lasciare questa stimolante comunione con i giovani, lasciare il grande agone intellettuale per conoscere ed interpretare il mistero della creatura uomo, per rendere presente nel mondo di oggi l'interpretazione cristiana del nostro essere - tutto ciò doveva apparirgli come un perdere se stesso, perdere proprio quanto era divenuto l'identità umana di questo giovane sacerdote. Seguimi - Karol Wojtyła accettò, sentendo nella chiamata della Chiesa la voce di Cristo. E si è poi reso conto di come è vera la parola del Signore: "Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece l'avrà perduta la salverà" (Lc 17, 33). Il nostro Papa - lo sappiamo tutti - non ha mai voluto salvare la propria vita, tenerla per sé; ha voluto dare se stesso senza riserve, fino all'ultimo momento, per Cristo e così anche per noi. Proprio in tal modo ha potuto sperimentare come tutto quanto aveva consegnato nelle mani del Signore è ritornato in modo nuovo: l'amore alla parola, alla poesia, alle lettere fu una parte essenziale della sua missione pastorale e ha dato nuova freschezza, nuova attualità, nuova attrazione all'annuncio del Vangelo, proprio anche quando esso è segno di contraddizione".
"Seguimi! Nell'ottobre 1978 il Cardinale Wojtyła ode di nuovo la voce del Signore. Si rinnova il dialogo con Pietro riportato nel Vangelo di questa celebrazione: "Simone di Giovanni, mi ami? Pasci le mie pecorelle!" Alla domanda del Signore: Karol mi ami?, l'Arcivescovo di Cracovia rispose dal profondo del suo cuore: "Signore, tu sai tutto: Tu sai che ti amo". L'amore di Cristo fu la forza dominante nel nostro amato Santo Padre; chi lo ha visto pregare, chi lo ha sentito predicare, lo sa. E così, grazie a questo profondo radicamento in Cristo ha potuto portare un peso, che va oltre le forze puramente umane: Essere pastore del gregge di Cristo, della sua Chiesa universale. Non è qui il momento di parlare dei singoli contenuti di questo Pontificato così ricco. Vorrei solo leggere due passi della liturgia di oggi, nei quali appaiono elementi centrali del suo annuncio. Nella prima lettura dice San Pietro - e dice il Papa con San Pietro - a noi: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Questa è la parola che egli ha inviato ai figli d'Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è Signore di tutti" (Atti 10, 34-36). E, nella seconda lettura, San Paolo - e con San Paolo il nostro Papa defunto - ci esorta ad alta voce: "Fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi (Fil 4, 1)".
"Seguimi! Insieme al mandato di pascere il suo gregge, Cristo annunciò a Pietro il suo martirio. Con questa parola conclusiva e riassuntiva del dialogo sull'amore e sul mandato di pastore universale, il Signore richiama un altro dialogo, tenuto nel contesto dell'ultima cena. Qui Gesù aveva detto: "Dove vado io voi non potete venire". Disse Pietro: "Signore, dove vai?". Gli rispose Gesù: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi" (Gv 13, 33.36). Gesù dalla cena va alla croce, va alla risurrezione - entra nel mistero pasquale; Pietro ancora non lo può seguire. Adesso - dopo la risurrezione - è venuto questo momento, questo "più tardi". Pascendo il gregge di Cristo, Pietro entra nel mistero pasquale, va verso la croce e la risurrezione. Il Signore lo dice con queste parole, "... quando eri più giovane... andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi" (Gv 21, 18). Nel primo periodo del suo pontificato il Santo Padre, ancora giovane e pieno di forze, sotto la guida di Cristo andava fino ai confini del mondo. Ma poi sempre più è entrato nella comunione delle sofferenze di Cristo, sempre più ha compreso la verità delle parole: "Un altro ti cingerà...". E proprio in questa comunione col Signore sofferente ha instancabilmente e con rinnovata intensità annunciato il Vangelo, il mistero dell'amore che va fino alla fine (cf Gv 13, 1)".
"Egli ha interpretato per noi il mistero pasquale come mistero della divina misericordia. Scrive nel suo ultimo libro: Il limite imposto al male "è in definitiva la divina misericordia" ("Memoria e identità", pag. 70). E riflettendo sull'attentato dice: "Cristo, soffrendo per tutti noi, ha conferito un nuovo senso alla sofferenza; l'ha introdotta in una nuova dimensione, in un nuovo ordine: quello dell'amore...È la sofferenza che brucia e consuma il male con la fiamma dell'amore e trae anche dal peccato una multiforme fioritura di bene" (pag. 199). Animato da questa visione, il Papa ha sofferto ed amato in comunione con Cristo e perciò il messaggio della sua sofferenza e del suo silenzio è stato così eloquente e fecondo".
"Divina Misericordia: Il Santo Padre ha trovato il riflesso più puro della misericordia di Dio nella Madre di Dio. Lui, che aveva perso in tenera età la mamma, tanto più ha amato la Madre divina. Ha sentito le parole del Signore crocifisso come dette proprio a lui personalmente: "Ecco tua madre!". Ed ha fatto come il discepolo prediletto: l'ha accolta nell'intimo del suo essere (eis ta idia: Gv 19, 27) - Totus tuus. E dalla madre ha imparato a conformarsi a Cristo".
"Per tutti noi rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pasqua della sua vita, il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla finestra del Palazzo Apostolico ed un'ultima volta ha dato la benedizione "Urbi et orbi". Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice. Sì, ci benedica, Santo Padre. Noi affidiamo la tua cara anima alla Madre di Dio, tua Madre, che ti ha guidato ogni giorno e ti guiderà adesso alla gloria eterna del Suo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. Amen".

domenica, aprile 03, 2005

GIOVANNI PAOLO SECONDO

CITTA' DEL VATICANO, 2 APR. 2005 (VIS). Alle ore 16:45 del 14 ottobre 1978, dieci giorni dopo il funerale di Papa Giovanni Paolo I, 110 Cardinali elettori, assistiti da 88 conclavisti, entrarono in conclave, in isolamento dal mondo, per eleggere il suo Successore.
Alle ore 18:18 del 16 ottobre, apparve la fumata bianca al piccolo camino della Cappella Sistina, che indicava l'avvenuta elezione da parte dei Cardinali elettori del nuovo Pontefice Romano. Ventisette minuti più tardi, il Cardinale Pericle Felici apparve al loggione centrale della Basilica vaticana per annunciare l'elezione di Papa Giovanni Paolo II alla Sede di Pietro con le parole: "Annuntio vobis gaudium magnum Habemus Papam Carolum Wojtyla, qui sibi nomen imposuit Ioannem Paulum II".
Alle ore 19:15 il nuovo Pontefice, indossando la tradizionale tonaca papale bianca, apparve al medesimo balcone e pronunciò in italiano le parole ora familiari a milioni di persone in tutto il mondo: "Sia lodato Gesù Cristo!"
"Carissimi fratelli e sorelle", continuò il Pontefice, "siamo ancora tutti addolorati per la morte del carissimo Papa Giovanni Paolo I. Ed ecco che gli Eminentissimi Cardinali hanno chiamato un nuovo Vescovo di Roma. Lo hanno chiamato da una Paese lontano... Lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana. Ho avuto paura nel ricevere questa nomina, ma l'ho fatto nello spirito dell'ubbidienza verso Nostro Signore e nella fiducia totale verso la sua Madre, la Madonna Santissima".
"Non so se posso bene spiegarmi nella vostra, nella nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi correggerete. E così mi presento a voi tutti, per confessare la nostra fede comune, la nostra speranza, la nostra fiducia nella Madre di Cristo e della Chiesa, ed anche per incominciare di nuovo su questa strada della storia e della Chiesa con l'aiuto di Dio e con l'aiuto degli uomini".
Giovanni Paolo II, Cardinale Karol Wojtyla, Arcivescovo di Cracovia, fu eletto 264° Papa al secondo scrutinio del secondo giorno del secondo conclave del 1978, cinque mesi dopo il suo 58° compleanno. Sei giorni più tardi, il 22 ottobre 1978, inaugurava solennemente il suo ministero pastorale.
Oggi, 2 aprile 2005, era il 9.664 giorno del Suo Pontificato, dal 22 ottobre 1978.
Il Pontificato di Giovanni Paolo II è stato il terzo più lungo nella storia del papato. Il Pontificato più lungo fu quello di San Pietro (date sconosciute), seguito da quello di Papa Pio IX (1846-78): 31 anni, 7 mesi, 17 giorni).
Nei suoi 26 anni e mezzo di Pontificato, Giovanni Paolo II ha convocato nove Concistori nel corso dei quali ha creato 232 Cardinali, di cui uno "in pectore". Dei 117 Cardinali elettori che parteciperanno al conclave, sono solo tre i Cardinali creati dai predecessori di Giovanni Paolo II.
Dall'inizio del Suo Pontificato, il Santo Padre ha nominato 3.500 degli oltre 4.200 Vescovi della Chiesa nel mondo ed ha incontrato ciascuno di essi alcune volte nel corso degli anni, in particolare in occasione della quinquennale Visita "ad limina Apostolorum".
Giovanni Paolo II ha redatto 14 Lettere Encicliche, 14 Esortazioni Apostoliche, 11 Costituzioni Apostoliche, 42 Lettere e 28 Motu proprio, oltre le centinaia di Messaggi e Lettere. In preparazione al Giubileo dell'Anno 2000 Giovanni Paolo II ha scritto la Lettera Apostolica "Tertio Millennio Adveniente", datata 10 novembre 1994 e pubblicata quattro giorni dopo. Il Papa ha anche creato il Comitato per il Grande Giubileo dell'Anno 2000.
Giovanni Paolo II ha scritto cinque volumi: "Varcare la soglia della speranza" (1994); "Dono e mistero" (1996); "Trittico Romano" (volume di poesie, 2003); "Alzatevi, andiamo (2004) e "Memoria e Identità (2005).
L'ottantaquattrenne Karol Wojtyla ha presieduto più di 15 Sinodi dei Vescovi: sei Sinodi Ordinari (1980, 1983, 1987, 1990, 1994, 2001), un Sinodo Straordinario (1985) ed otto Sinodi Speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, due nel 1998, 1999).
Nei 26 anni di Pontificato, il Santo Padre ha intrapreso 104 Viaggi Apostolici fuori d'Italia, l'ultimo nell'agosto 2004 a Lourdes. 143 sono state le Visite Pastorali in Italia e quasi 700 nella città e nella Diocesi di Roma. Il Papa ha visitato 301 delle 325 Parrocchie della Diocesi di cui è Vescovo, senza contare istituti religiosi, università, seminari, ospedali, case di riposo, prigioni e scuole.
Con le sue 247 Visite Pastorali in Italia e all'estero Giovanni Paolo II ha percorso 1.167.295 chilometri, più di 28 volte la circonferenza della terra o 3 volte la distanza fra la terra e la luna.
A Roma il Papa riceveva una media di un milione di persone l'anno, inclusi i 400-500.000 pellegrini che si recano in Vaticano per l'Udienza Generale del Mercoledì, oltre ai partecipanti a funzioni liturgiche particolari come la Messa di Natale e di Pasqua, le Beatificazioni e le Canonizzazioni. Il Papa riceve approssimativamente 150-180.000 persone l'anno in udienze concesse a gruppi particolari, Capi di Stato e di Governo.
All'inizio del Pontificato di Giovanni Paolo II, la Santa Sede intratteneva relazioni diplomatiche con 85 Paesi, attualmente intrattiene relazioni diplomatiche con 174 Paesi, con l'Unione Europea, il Sovrano Militare Ordine di Malta, la Federazione Russa e l'Organizzazione per la Liberazione per la Palestina (OLP).
Secondo l'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, nei ventisei anni trascorsi, il Papa ha proclamato 1.339 Beati in 143 cerimonie e 483 Santi, in 52 cerimonie.
Nel febbraio 1984, il Santo Padre fondò l'Istituto Giovanni Paolo II per il Sahel e nel febbraio 1992 la Fondazione "Popolorum Progressio" per i popoli indigeni dell'America Latina. Fondò inoltre la Pontificia Accademia per la Vita e la Pontificia Accademia per le Scienze Sociali. Istituì la Giornata Mondiale del Malato (che si celebra ogni anno l'11 febbraio) e la Giornata Mondiale della Gioventù. La XX Giornata Mondiale si terrà a Colonia, Germania, nell'agosto prossimo. Il Papa stesso ha scelto il tema della giornata e ha sviluppato il suo contenuto nel Messaggio rivolto ai Giovani di tutto il mondo.
Karol Józef Wojtyla, che assunse il nome di Giovanni Paolo II 26 anni fa, è nato a Wadowice, cittadina a 50 km da Cracovia, il 18 maggio 1920, secondo di due figli maschi di Karol Wojtyla ed Emilia Kaczorowka. Sua madre morì dando alla luce un terzo figlio - nato morto - nel 1929. Il fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell'esercito, morì nel 1941.
Karol fece la Prima Comunione all'età di nove anni e la Cresima a diciassette anni. Dopo aver conseguito il diploma di maturità nel Liceo "Martin Wadowita" a Wadowice, si iscrisse alla Università Jagellonica nel 1938 e frequentò anche una scuola di teatro.
Le forze di occupazione nazista chiusero l'Università nel 1939 e il giovane Karol dovette mettersi a lavorare in una cava e in seguito in nella fabbrica chimica Solvay per guadagnarsi da vivere e sfuggire alla deportazione in Germania.
Nel 1942, già consapevole della sua vocazione al sacerdozio, cominciò a frequentare dei corsi presso il seminario clandestino di Cracovia, diretto dal Cardinale Adam Stefan Sapieha, Arcivescovo di Cracovia. Contemporaneamente Karol Wojtyla fu anche uno dei pionieri del "Teatro Rapsodico", anch'esso clandestino.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, continuò i suoi studi nel Grande Seminario di Cracovia, una volta riaperto, ed alla Facoltà di Teologia dell'Università Jagellonica, fino all'Ordinazione Sacerdotale avvenuta a Cracovia il 1° novembre 1946.
Subito dopo, il Cardinale Sapieha lo inviò a Roma dove proseguì gli studi sotto la guida del Domenicano francese Garrigou-Lagrange. Terminò il dottorato in teologia nel 1948 con una tesi sulla fede nelle opere di San Giovanni della Croce. Allo stesso tempo, durante le vacanze, esercitava il suo ministero pastorale fra gli immigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.
Ritornò in Polonia nel 1948 e divenne Vicario di diverse parrocchie a Cracovia e Cappellano degli studenti universitari fino al 1951 quando riprese gli studi di filosofia e teologia. Nel 1953 difese la tesi: "Valutazione sulla possibilità di fondare una etica cattolica nel sistema etico di Max Scheler" all'Università Cattolica di Lublino. Più tardi divenne Professore di teologia morale e di etica sociale nel Grande Seminario di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.
Il 4 luglio 1958 Papa Pio XII lo nominò Vescovo Ausiliare di Cracovia e il 28 settembre 1958 ricevette la Consacrazione Episcopale nella Cattedrale di Wawel, (Cracovia), dall'Arcivescovo Baziak.
Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Papa Paolo VI che lo elevò alla porpora cardinalizia il 26 giugno 1967.
Il Cardinale Wojtyla partecipò al Concilio Vaticano II (1962-1965) con un importante contributo all'elaborazione della Costituzione Apostolica "Gaudium et Spes", e successivamente prese parte a tutte le Assemblee del Sinodo dei Vescovi sin dalla sua creazione ad opera di Paolo VI nel 1967.